Se da un lato il turismo continua a rappresentare un volano economico per molte città, dall’altro la diffusione incontrollata di locazioni turistiche ha avuto effetti distorsivi sulla disponibilità di alloggi per i residenti, contribuendo all’aumento vertiginoso dei canoni di affitto e rendendo il diritto alla casa sempre più precario.
Il recente rapporto “Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni 2025” curato da Ance evidenzia come nelle grandi città l’acquisto di un immobile sia ormai fuori dalla portata per milioni di famiglie, con mutui che assorbono oltre il 50% del reddito, mentre anche l’affitto diventa un lusso, specialmente per i meno abbienti, che arrivano a spendere oltre la metà delle loro entrate per un’abitazione.
Il tema dell’accessibilità alla casa rappresenta una criticità crescente anche in Umbria, in particolare nei centri a forte vocazione turistica come Perugia, Assisi, Spoleto, Orvieto e l’area del Trasimeno. In questi territori si registra un aumento significativo degli affitti brevi, con una conseguente riduzione dell’offerta abitativa a lungo termine, che incide in modo diretto sulle fasce sociali più fragili e sui lavoratori a basso reddito. La questione dell’insostenibilità dei canoni per chi ha un reddito annuo inferiore ai 24.000 euro è dunque pienamente attuale anche a livello regionale sebbene in forma meno evidente rispetto ai principali capoluoghi italiani.
A conferma di una regolamentazione ancora incompleta, al 1° gennaio 2025 oltre il 45% delle strutture ricettive umbre risultava privo del Codice Identificativo Nazionale (CIN), lo strumento obbligatorio per tracciare e monitorare gli immobili destinati ad affitti brevi. Assegnato su base regionale, il CIN deve essere esposto in modo visibile e riportato su tutte le piattaforme promozionali. La sua applicazione effettiva è fondamentale per contrastare l’abusivismo, garantire trasparenza fiscale e riequilibrare il rapporto tra sviluppo turistico e diritto alla residenza, soprattutto nei contesti urbani e nei borghi sottoposti a forti pressioni immobiliari. Su 8.041 strutture registrate nella nostra regione, all’inizio dell’anno, stando ai dati del Ministero del Turismo, solo 4.360 risultavano in regola con il CIN, lasciando 3.681 strutture (pari al 45,78%) a rischio sanzione. Terni registra una percentuale di regolarità del 53,03%, mentre Perugia si attesta al 54,53%, percentuali inferiori alla media nazionale del 78,84%.
Secondo il 1° Rapporto “Gli italiani e la casa” curato da Federproprietà e Censis del 2022, la casa continua a rappresentare un pilastro centrale nella cultura e nella struttura sociale del nostro Paese.
Il 70,8% delle famiglie italiane è proprietario dell’abitazione in cui vive, e anche tra le fasce meno abbienti la quota di proprietari rimane elevata (oltre il 55% nel quintile più povero), segno di un modello abitativo profondamente radicato. Per il 92% degli italiani la casa è un rifugio sicuro, mentre il 54% vorrebbe aiutare figli o nipoti ad acquistare la prima abitazione, confermando che la proprietà immobiliare è ancora percepita come una garanzia di stabilità economica e sicurezza personale.
Il rapporto Censis evidenzia però anche le contraddizioni di questo modello: il 76% degli intervistati denuncia l’eccessivo peso dei costi di gestione (utenze, spese condominiali) e il 72% ritiene il fisco troppo penalizzante nei confronti della proprietà immobiliare. A ciò si aggiunge una crescente difficoltà di accesso alla casa per giovani, lavoratori precari e famiglie a basso reddito, a causa del rialzo dei prezzi e della scarsità di alloggi a canone sostenibile, soprattutto nei contesti urbani e turistici.
Il Sunia Cgil, sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari, denuncia da tempo il drammatico impatto degli affitti brevi sulle fasce più deboli, chiedendo misure urgenti per limitare la speculazione e tutelare i lavoratori, i pensionati e le giovani coppie in cerca di una casa. L’elevata redditività delle locazioni turistiche rispetto a quelle tradizionali ha spinto molti proprietari a sottrarre immobili al mercato residenziale, riducendo drasticamente l’offerta di alloggi a lungo termine e contribuendo all’impennata dei canoni di affitto. Ma il problema non si esaurisce nella sfera della locazione: chi desidera acquistare una casa si scontra con tassi di interesse sui mutui che, dopo un forte rialzo nel 2023, restano elevati nonostante i primi segnali di stabilizzazione nel 2024 e all’inizio del 2025. Il risultato è un circolo vizioso: l’accesso alla proprietà si fa sempre più difficile, mentre il mercato della locazione, già saturo e poco regolato, diventa spesso l’unica – e costosa – alternativa.
Senza una programmazione nazionale per l’edilizia residenziale pubblica e un modello regolatorio efficaci, il rischio è quello di lasciare intere fasce della popolazione senza soluzioni abitative dignitose, mentre gli investitori immobiliari traggono vantaggio da un sistema che premia chi può permettersi di speculare. Senza un reale impegno statale il rischio è che si creino nuove opportunità per il profitto privato senza un effettivo miglioramento delle condizioni per chi ha bisogno di una casa.
La Legge di Bilancio 2025 prevede il “Piano Casa Italia”, programma nazionale per l’edilizia residenziale e sociale pubblica che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe affrontare il crescente disagio abitativo e garantire il diritto alla casa. Il Piano – affidato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – promette una strategia organica per riorganizzare il sistema abitativo nazionale, integrando edilizia residenziale e sociale, valorizzando il patrimonio pubblico dismesso e coinvolgendo anche il settore privato.
Tuttavia, permangono incognite operative e criticità temporali. Il Piano, ispirato a modelli innovativi di cohousing e partenariato pubblico-privato, ha prodotto una riunione consultiva a fine 2023 e una serie di linee guida annunciate, ma mai formalizzate, nonostante la scadenza fissata ad aprile 2024.
Solo con l’ultima manovra di bilancio viene delineata una prospettiva finanziaria articolata, che prevede uno stanziamento complessivo di 560 milioni di euro tra il 2028 e il 2030: 150 milioni per il 2028, 180 milioni per il 2029 e 230 milioni per il 2030. Una cifra positiva, ma insufficiente e ancora troppo diluita nel tempo per affrontare con urgenza una crisi abitativa che oggi colpisce milioni di persone.
Manca ancora una visione complessiva e concreta di politiche pubbliche per la casa, che affianchi i Comuni, razionalizzi le competenze e garantisca un accesso reale e dignitoso all’abitare, soprattutto per giovani, lavoratori poveri e famiglie in condizione di fragilità.
In assenza di atti concreti e impegni vincolanti, il rischio è che si tratti di un piano più mediatico che operativo, che non affronta alla radice le cause strutturali del disagio abitativo e che lascia sullo sfondo i territori e i cittadini che da anni attendono risposte reali.
Il Paese si trova dunque davanti a una scelta cruciale: lasciare che il mercato continui a dettare le regole, con città svuotate dei loro residenti e interi quartieri trasformati in dormitori turistici, oppure intervenire con politiche serie e coraggiose che riportino l’abitare al centro delle priorità sociali. Il tempo delle analisi è maturo, serve una strategia che rimetta in equilibrio il diritto alla casa con lo sviluppo turistico, senza sacrificare la stabilità e la qualità della vita delle persone.
Redazione Nuove Ri-Generazioni Umbria